I Giorni bugiardi continuano (101 + 101 = 202)

(questo post è uscito su Huffington post)

Premessa: scrivo questo post per amore del Partito democratico e per fiducia nel suo futuro. Dirò cose spiacevoli, anche se mi converrebbe starmene zitta. Sarò lunga, e per questo procederò per punti. Il succo è questo: quanto avvenuto in queste ore è la prosecuzione ideale di quanto avvenne nei giorni dell’elezione del presidente della repubblica. Produce lo stesso effetto nei militanti del partito e negli elettori, amplifica e raddoppia l’effetto dell’altra volta. I 101 diventano, per così dire, 202. Con questa affermazione non voglio alludere al fatto che si tratti dell’opera delle stesse persone o che vi sia una continuità tra questi due fatti politici (anche se certo l’ipotesi non sembra da escludere a priori sul piano logico). Ma andiamo in ordine. 

I fatti e le parole
Ho una concezione laica della politica: tutto può succedere. Enrico Letta ha guidato un governo di servizio, nato in circostanze particolarissime, concepito dall’inizio come un’esperienza a termine. È legittimo averne un giudizio non del tutto positivo, giudicare troppo prudente o magari anche un po’ cinica nella gestione del day by dayl’azione di un premier che comunque ha molti meriti e ha ottenuto grandi riconoscimenti. Il segretario appena eletto del partito di maggioranza relativa (fa piacere che si riconosca che alle elezioni il Pd ha preso più voti e più parlamentari di chiunque altro, e che è il punto di forza di tutti gli equilibri politici possibili in questa legislatura: finalmente) ha tutto il diritto di avere voglie e ambizioni, anche smisurate. Il Partito democratico poteva benissimo sostituire un presidente del consiglio, anche un suo presidente del consiglio. Ma non così.

Matteo Renzi ha detto una marea di bugie. Ha mentito a Letta con gli hashtag sprezzanti e le interviste, gli ha detto bugie in pubblico e in privato fino all’ultimo giorno utile. Ha mentito ai cittadini di Firenze, con i quali si è impegnato a restare sindaco in tutte le sedi ufficiali e ufficiose. Ma soprattutto ha mentito a coloro che lo hanno votato ed eletto segretario e che hanno creduto alla sua promessa di andare a palazzo Chigi solo dopo le elezioni, non a caso oggi i più spiazzati e imbarazzati di tutti. Ha mentito ieri in direzione, cancellando letteralmente il premier e il governo dalla scena e presentando una inesistente alternativa tra “il voto subito” per un parlamento che nessuno aveva detto di voler sciogliere e “un governo di legislatura” su cui nessuno può garantire.

Ha mentito dicendo che si candidava a fare il segretario del Pd, cosa che non farà (a proposito, chi la farà? Spiegheranno ai famosi due milioni delle primarie che in realtà l’8 dicembre hanno votato l’ottimo Lorenzo Guerini? Auguri). Ha ingannato chi lo ha votato per difendere il bipolarismo e i principi del maggioritario e contro gli “inciuci”, come Romano Prodi.

E ieri non ci ha spiegato perché vuole andare al governo: per fare cosa, per fare che cosa di diverso da quello che ha fatto Letta, per farlo con chi. Ci ha detto solo che abbiamo il vento in faccia, e si sa che non si ferma il vento in faccia con le mani. #enricostaisereno è diventato #proviamoci: chi? cosa? perché? cosa cambia adesso? Non si sa (e nessuno gliel’ha chiesto. Tranne Stefano Fassina).
Qualcuno con cui chiacchieravo di tutto questo mi ha detto: “Ma la politica è così”. Ecco, no. Io non ho mai visto un segretario che dichiara di avere un obiettivo e poi, così platealmente, ne persegue un altro. Non nel mio partito, certamente non negli ultimi anni. Chi l’ha fatto, o ha dato l’impressione di farlo, se n’è pentito e ha pagato. Gli elettori del Pd non sono affatto abituati così. Gli elettori di qualcun altro, magari. E se qualcuno pensa che certe pratiche servano a ricostruire la fiducia nella politica, se pensa che la gente non faccia caso a certe cose, sarà meglio che lo lasciamo a gustarsi il vento in faccia. Intanto che noi ci mettiamo al riparo dalla bufera.

Una gestione ridicola
Non è solo questione di bugie: tutta questa partita è stata gestita in maniera incredibilmente dilettantesca e pasticciata e nel disprezzo più totale del senso di una comunità politica, sul piano dei rapporti personali e dei meccanismi di decisione collettivi. Cosa deve pensare un iscritto, un simpatizzante, un elettore di questo Partito democratico? Come deve sentirsi? Qualcuno se l’è chiesto, qualcuno ne ha idea? Lo hanno riconosciuto in tanti e lo ha scritto benissimo Lucia Annunziata per cui non aggiungo altro. Solo una cosa: anche qui, onori e oneri. Sarà pure colpa un po’ di tutti, ma quando un partito combina un disastro come questo nella gestione dei propri rapporti interni e di un fondamentale passaggio di fase politica, la colpa è prima di tutto del segretario e del gruppo dirigente. C’è poco da fare: non si sarebbe mai dovuti arrivare a questo punto.

Gli errori della minoranza
Era giusto chiedere a Renzi di assumersi le sue responsabilità, impedirgli di trattare il governo come una bad company, avvertirlo che non ci si salva abolendo il senato (o dicendo di volerlo abolire) se poi la gente non ha il lavoro e i soldi per pagare le bollette. È giusto essere leali con un segretario eletto a larga maggioranza, impegnandosi a rispettare le decisioni collettive (come è stato fatto sulla legge elettorale) anche se in tutto o in parte non le si condivide. Tuttavia, la scelta di votare a favore del documento proposto ieri in direzione è incomprensibile.

Io avevo capito che l’idea fosse “Renzi, sostieni Letta oppure vacci tu al governo se pensi di essere più bravo di lui“, non che fosse “Renzi, vai tu al governo che sei più bravo di Letta“. Per cui non ci sarebbe stata nessuna contraddizione tra le sollecitazioni dei giorni scorsi e la scelta di non votare sì a un documento di sfiducia che è oggettivamente fuori da qualsiasi idea di lealtà reciproca e assunzione comune di responsabilità precedenti, e che non era frutto di alcuna riflessione collettiva. Se proprio non si voleva votare contro c’erano tanti altri modi per non votare a favore: lasciare la sala in anticipo come hanno fatto alcuni lettiani, astenersi come ha fatto Stefano Fassina. Non ho sentito spiegazioni convincenti della scelta di votare a favore. Per quanto ne so, temo che sia frutto di un errore o di un equivoco iniziale su cosa significasse quella sollecitazione a Renzi di assumersi le sue responsabilità. Se qualcuno pensava di metterlo all’angolo evocando il suo trasferimento a palazzo Chigi, se pensava di sfidarlo così, allora quel qualcuno ha commesso una grossa sciocchezza e un errore politico.

Ha ragione Civati (però ha torto)
Pippo Civati si sta muovendo molto bene dopo le primarie. Ha capito che non si può fare il pierino a vita e si sta posizionando con intelligenza. Il suo voto contrario e il suo rifiuto di accettare di “sfiduciare” il premier espresso pochi mesi fa dal Pd sono una scelta destinata a dargli credibilità e forza. Sta spendendo bene il suo consenso ed è un interlocutore interessante per chi è interessato a presidiare un’area di sinistra, o meglio a costruire un Pd più di sinistra di quello di Renzi. Sarebbe più forte e più credibile, Civati, se avesse votato anche lui la fiducia a Letta e se avesse sostenuto Bersani nei tentativi precedenti di fare governi più accettabili per la sua sensibilità, dimostrando la stessa responsabilità verso il collettivo che dimostra adesso, mentre apre la sfida per la guida dell’area di opposizione. Ma pazienza, crescerà. E lo dico senza alcuna ironia.

Il futurismo no, vi prego
Ho letto l’editoriale di Ezio Mauro. Ho capito che la novità di Renzi, in mancanza d’altro, è biologica e antropologica. Ho sentito sulla schiena il brivido del pubblico che assiste al numero dell’acrobata come in certe piazze d’inizio Novecento, illuminate dalle prime luci elettriche, quando si tirava la fune da un terrazzo all’altro. Vi prego però, risparmiateci la svolta futurista, almeno quella.

«Compagni! Noi vi dichiariamo che il trionfante progresso delle scienze ha determinato nell’umanità mutamenti tanto profondi, da scavare un abisso fra i docili schiavi del passato e noi liberi, noi sicuri della radiosa magnificenza del futuro…» (dal Manifesto dei pittori futuristi, febbraio 1910)

Così come ci risparmieremmo volentieri (ma è una battaglia persa) la retorica generazionale. No, il governo Renzi non è l’occasione di riscatto di una generazione. Ci sono un sacco di quarantenni in Italia a cui girano legittimamente le scatole quando sentono questi discorsi. E ce ne sono tantissimi altri, la maggior parte, ai quali non importa nulla.

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *


*