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La ricandidatura

Ne potrei dire tante, ma forse è meglio di no. C’è una cosa però che proprio mi lascia sbalordita in questo finale della vicenda Marino. Ed è che per “convincere” i consiglieri comunali del Pd a firmare le dimissioni è stato detto loro che chi non firmava non sarebbe stato ricandidato.

Dunque il commissario del Pd romano, alla vigilia del processo per Mafia capitale e dopo il fallimento di questa esperienza amministrativa della città, in mezzo alle macerie del partito, ha garantito a tutti i consiglieri uscenti la ricandidatura. Dunque mentre si cerca un candidato sindaco che faccia il miracolo, magari proveniente dalle fila dei nostri avversari o meglio dirttamente dalla Luna, si apprende che la proposta del Pd alla città sarà la ricandidatura di tutti – TUTTI – i consiglieri comunali.

Squadra che vince non si cambia, insomma. Ma allora a cosa è servito commissariare il partito di Roma scusate? Solo a dividere i circoli in buoni e cattivi, scoraggiando e mortificando anche i militanti buoni? Solo ad avere un sicario che ammazzasse Marino? Per il resto tutto bene? Ho idea che la campagna elettorale per le comunali non stia iniziando col piede giusto.

Campidoglio, Italia. Noi del Pd stamani in quella piazza

Sono stata a curiosare al Campidoglio, stamattina. Sono una giornalista, e sono del Pd. La piazza era piena, non pienissima come avevano sparato nei giorni scorsi. La gente non sapeva bene cosa fare. Avevano i cartelli, con scritto “daje” e “Marino ripensaci” e anche “Renzi stai sereno”. Guardavano verso le finestre. Cantavano Bella ciao e pure El pueblo unido jamas sera vencido. Avevano fatto delle fotocopie col testo.

C’era un gruppetto a centro piazza con le bandiere del Pd. C’erano tre signori che parlavano e uno diceva: “Io dar partito nun me ne vado manco se me pagano. Se lo scordano, questi, che je lascio er Piddì. A me me devono caccià”. Un altro diceva: “Ecciairaggione, sennò je fai un favore”. E un altro ancora diceva: “Essì ma tanto poi quando arriva Verdini che fai, te ne devi andà lo stesso”. E il primo: “Ma un conto è se me ne vado mo’ da solo, un conto è se me caccia lui per fa’ er partito della nazzione co Verdini”. (Ho pensato: se qualcuno vi ha messo qui per darmi speranza di non essere sola, grazie).  Continua a leggere

Ma cosa aveva votato il cdm? (No, non è vero che è sempre successo)

Riepilogando. Ci sono quelli che “eh, ma è sempre successo che una legge finanziaria esce dal consiglio dei ministri in un modo e poi cambia”. Per carità, sì: in parlamento però cambia. Non su facebook.

Perché appunto poi ci sono anche i comici, quelli che “eh, ma Matteo voleva fare così dall’inizio, hai visto che ha spiazzato la minoranza pd anche stavolta, daje Matteo, sei forte”. Sì, come no.  Continua a leggere

Totò e Marianna, Marianna che resiste

La prima notifica stamattina è di Marianna, il nome è finto. Marianna fa la segretaria di circolo del Pd, non è renziana ma non passa le giornate a gufare e non se n’è andata dal partito, non è una settantenne emiliana residuo della Ditta ma una giovane insegnante che vive in una grande città.

Mi allega il link con lo splash di Huffington post, titolo “La minoranza Pd è come Totò” e primo piano di Matteo Renzi col più strafottente dei sorrisi strafottenti che ha nel repertorio. Scrive Marianna: “Cara Chiara, ti posso dire che sono veramente schifata, che non ne posso più di leggere queste cose!!!”. Aggiunge: “Scusa se mi sfogo con te”.

Non so cosa rispondere, dico che anch’io in effetti non ne posso più. Lei scrive ancora: “Mi chiedo se valga la pena dedicare tanto tempo della mia vita a questo partito ridotto con questa gente”. Balbetto che la capisco. Che restare chiede più forza e più coraggio che andarsene. Che non potrà durare per sempre così.

Allora lei risponde: “Lo so Chiara. Non è facile essere sempre sbeffeggiati. Ma ha ragione Bersani, non siamo noi a dover andare via, io resisto. Sai che ho invitato al circolo l’onorevole X (della minoranza Pd ndr) e mi ha promesso che verrà a novembre? Stiamo decidendo la data. Sono così felice”.

Ora io volevo dirti solo una cosa, segretario. Tu credi di insultare qualche rompiscatole tipo me o qualche dirigente che ti fa saltare la mosca al naso perché osa contraddirti, ma invece tu insulti Marianna. Sappi che Marianna in un modo o nell’altro tra qualche anno avrà altro a cui pensare, o perché te ne sarai andato tu o perché se ne sarà andata lei. Ma se esiste da qualche parte un Dio della politica, io penso che cose come queste non te le perdonerà.

Pro-Quagliariello. In difesa della scissione dell’atomo

“Ce ne faremo una ragione”, “Io non trattengo nessuno”, e comunque “Va via perché non gli hanno dato un posto nel governo”. Chiaro? Se Angelino Alfano voleva dare ragione a Quagliariello, cioè dimostrare di essere ormai completamente renzizzato, basta leggere le sue reazioni alle dimissioni del coordinatore di Ncd negli articoli dei giornali di oggi. Sono tempi duri per chi prova a dire che qualcosa non va bene, a sollevare qualche dubbio in casa propria. E a dirla tutta, sono tempi duri anche per le persone di buona educazione.

Ciononostante, simpatizzare per Quagliariello (e Giovanardi, e compagnia), cioè per la “destra” (ateo)devota di Ncd non è facile. I commenti sulla “scissione dell’atomo” sorgono, come dire, spontanei. E però non cercatemi, tra gli sfottitori di quagliarielli: non mi trovereste. Quagliariello ha ragione.  Continua a leggere

Non è politica, è decido io

Ma davvero il giorno dopo questa catastrofe romana, con le macerie ancora fumanti, tutto quello che il segretario del Pd ha da dire, il messaggio che fa arrivare alla sua gente, ai suoi elettori romani e italiani, è “Ora niente primarie, decido io“?
Ho detto il segretario del Pd, attenzione. Non il presidente del consiglio. Che commissarierà, stanzierà fondi per il Giubileo, fisserà la data delle elezioni: lavoro suo. Ma il segretario del Pd, il partito che ha scelto questo sindaco, che ha governato questa città, che ha visto abbattersi il ciclone Mafia capitale, che ha commissariato il suo sindaco, che l’ha difeso, che l’ha cacciato, non ha nient’altro da dire che questo?
Non sto parlando di ragioni o torti. Non sto parlando di dirigenti da proteggere o da rottamare: sinceramente me ne frega il giusto, arrivati al punto in cui siamo, dei protagonisti di questa vicenda. Sto parlando di una comunità politica, che adesso dovrebbe fare una campagna elettorale se non sbaglio. Sostenere un sindaco, chiunque lo scelga. Esprimere candidati disposti a impegnarsi, anzi a “metterci la faccia” come si dice adesso, vero Matteo? Che le preferenze mica ci andrai tu a prenderle penso. Una comunità che dovrebbe avere un’idea di se stessa, e un’idea per questa città. Continua a leggere

Non ci canzonate: quattro cose su Verdini

Dopo la fantastica performance televisiva di Denis Verdini sento il bisogno di confutare, serenamente e pacatamente, alcune affermazioni che oggi vanno per la maggiore sui giornali, oltre che – naturalmente – nei peggiori bar di Caracas.

“Verdini canzona la minoranza Pd”. Avrà pure irriso Gotor e Migliavacca, l’amico Denis. Ma io se fossi Luca Lotti, e se Verdini mi cantasse al telefono “La maggioranza sai, è come il vento”, tanto sereno non starei. Maria Latella non aveva chiesto al suo ospite di cantare proprio questa canzone: la scelta, rapida e solo affettatamente riluttante, in un repertorio che immagino ampio, non può essere casuale. Comunque l’immagine di Luca e Denis che ridacchiano al telefono cantando canzoncine su Migliavacca è una fotografia perfetta del momento, grazie Verdini e grazie Latella per avergli chiesto di cantare. Fate girare.  Continua a leggere

Antiberlusconiani e mazziati

Da una parte c’è il Fatto quotidiano con i suoi orgogliosi pantheon di antiberlusconiani a prova di martirio, inseguito con qualche comprensibile imbarazzo da Repubblica che si limita ad alzare educatamente il sopracciglio. Dall’altra ci sono gli entusiasmi foglianti per la fine delle sterili contrapposizioni della seconda repubblica, rilanciati con trattenuto entusiasmo dal Corriere della Sera. In questo dibattito originato dalla strabiliante (ma non troppo) affermazione del presidente del consiglio e segretario del Pd che parlando al Meeting di Cl (ma poi anche in un teatro affollato di sostenitori del nuovo corso) ha messo sullo stesso piano berlusconismo e antiberlusconismo accusandoli di avere “bloccato l’Italia” per vent’anni, c’è qualcosa che – chissà perché (si scherza) – nessuno dice. Infatti è difficile da dire, e non tutti hanno titolo.

A sinistra in questi anni non c’è stato soltanto il pantheon del Fatto quotidiano nudo a combattere contro l’orrido inciucio. C’è stata anche una sinistra, spesso maggioritaria, che si è rifiutata di definirsi solamente “contro” Berlusconi. E che per questo ha provato, proprio per non contribuire a bloccare il paese in uno scontro ideologico e sterile, ad agire – quando poteva, cioè quando ha avuto la forza per farlo – come se avesse un fortissimo avversario “normale” (ah, questa parola!). Questa sinistra (riformista? socialdemocratica? normale?) pur con errori e contraddizioni, ha cercato di guardare all’interesse del paese più che a una rendita di posizione elettoralistica ed emotiva. Ha cercato di unire ciò che Berlusconi divideva, preservando lo spirito costituzionale mentre la destra berlusconiana lavorava a demolirlo. Ha cercato di cambiare le cose in maniera concreta e non ideologica, pur non avendone sempre la forza. Ha accettato di correre il rischio di dialogare con la destra così com’era, quando lo imponevano le necessità e le regole costituzionali. Sto parlando di fatti storici e concreti, verificabili, dalla Bicamerale ai governi Monti e Letta.

Questa sinistra ha spesso pagato un prezzo, anche a causa del mood prevalente nella stampa e dell’intellighenzia di sinistra, mai abbastanza sazia di antiberlusconismo militante, che ha alimentato e coltivato uno spirito antagonista e moralista nel suo stesso campo. Con queso mood ha scelto non di combattere, equiparandolo a un avversario anche se spesso lo è stato, ma di confrontarsi con spirito di umiltà e di apertura, di combattere insieme. Spesso senza incontrare altrettanta disponibilità e apertura. E per inciso, di questa retorica antiberlusconiana militante si è nutrita la campagna di logoramento di Matteo Renzi contro il governo Letta, fino a poco più di un anno e mezzo fa quando Berlusconi venne ricevuto al Nazareno.

Oggi, è proprio contro quella sinistra che viene brandita l’accusa di aver “bloccato” il paese. E nessuno sottolinea questa assurdità (con l’eccezione parziale di Piero Ignazi su Repubblica di ieri). Da quali pulpiti, con quali titoli e con quale onestà intellettuale si stia svolgendo questo dibattito (sostanziale e tutt’altro che agostano) sull’identità e le prospettive del Partito democratico, ognuno lo può giudicare.

Veline a Saigon

Chissà se, in questo delirio propagandistico fatto di “Vietnam”, esami di riformismo, processi parastalinisti a parlamentari rei nientemeno che di presentare emendamenti e (signora mia, dove andremo a finire) votarli, chissà se nelle pause di questa operazione di drammatizzazione assurda, cinica e caricaturale ci sarà – magari prima che cominci il famigerato settembre in confronto al quale l’Armageddon sarà uno scherzo – un giornalista, uno, che chieda a Matteo Renzi e/o ci spieghi:

1) se il presidente del consiglio intende cambiare la riforma costituzionale, come aveva detto lui stesso in un’intervista a Repubblica, come il presidente del senato auspica, come la maggioranza del parlamento è disposta a fare, oppure no.

2) su quali punti pensa a modifiche.

3) con quali voti intende approvare la riforma.

Glie ne saremmo grati.

Matteo Renzi, un leader senza partito

Ho scritto questo per i giornali locali del gruppo l’Espresso (Il Tirreno, La Gazzetta di Mantova, Il Mattino di Padova, Il Piccolo, Il Centro, La Gazzetta di Reggio, La Gazzetta di Modena, Alto Adige, Il Trentino, Il Messaggero Veneto, La Nuova Sardegna, La Nuova Venezia, La Città di Salerno e altri)

Alla fine, Matteo Renzi ha chiuso la telenovela sulla sua partecipazione alla Festa dell’Unità di Roma nel modo a lui più congeniale: con una trovata comunicativa. Un blitz alla vigilia della data prevista, qualche selfie, una partita a biliardino e niente comizio, con motivazione all’attacco, affidata ai giornali: «Se la vedano loro». Più ancora del curioso fenomeno di un segretario che, invitato alla festa del suo partito, pone per giorni le sue “condizioni” prima di decidere se accettare; che essendo la festa in questione quella di Roma – ed essendo il caso di Roma e della sua giunta guidata da un sindaco Pd in prima pagina su tutti i giornali del mondo – ci tiene a far sapere che però non parlerà di Roma; che infine va alla festa un giorno prima del previsto per premunirsi da “imboscate”, colpisce osservare in rete le foto della serata. Quelle immagini del segretario in mezzo ai militanti assomigliano ben poco a qualunque foto di altri leader in situazioni analoghe, trasmettono freddezza, distanza, forzatura: comunicano estraneità. Continua a leggere