Da una parte c’è il Fatto quotidiano con i suoi orgogliosi pantheon di antiberlusconiani a prova di martirio, inseguito con qualche comprensibile imbarazzo da Repubblica che si limita ad alzare educatamente il sopracciglio. Dall’altra ci sono gli entusiasmi foglianti per la fine delle sterili contrapposizioni della seconda repubblica, rilanciati con trattenuto entusiasmo dal Corriere della Sera. In questo dibattito originato dalla strabiliante (ma non troppo) affermazione del presidente del consiglio e segretario del Pd che parlando al Meeting di Cl (ma poi anche in un teatro affollato di sostenitori del nuovo corso) ha messo sullo stesso piano berlusconismo e antiberlusconismo accusandoli di avere “bloccato l’Italia” per vent’anni, c’è qualcosa che – chissà perché (si scherza) – nessuno dice. Infatti è difficile da dire, e non tutti hanno titolo.
A sinistra in questi anni non c’è stato soltanto il pantheon del Fatto quotidiano nudo a combattere contro l’orrido inciucio. C’è stata anche una sinistra, spesso maggioritaria, che si è rifiutata di definirsi solamente “contro” Berlusconi. E che per questo ha provato, proprio per non contribuire a bloccare il paese in uno scontro ideologico e sterile, ad agire – quando poteva, cioè quando ha avuto la forza per farlo – come se avesse un fortissimo avversario “normale” (ah, questa parola!). Questa sinistra (riformista? socialdemocratica? normale?) pur con errori e contraddizioni, ha cercato di guardare all’interesse del paese più che a una rendita di posizione elettoralistica ed emotiva. Ha cercato di unire ciò che Berlusconi divideva, preservando lo spirito costituzionale mentre la destra berlusconiana lavorava a demolirlo. Ha cercato di cambiare le cose in maniera concreta e non ideologica, pur non avendone sempre la forza. Ha accettato di correre il rischio di dialogare con la destra così com’era, quando lo imponevano le necessità e le regole costituzionali. Sto parlando di fatti storici e concreti, verificabili, dalla Bicamerale ai governi Monti e Letta.
Questa sinistra ha spesso pagato un prezzo, anche a causa del mood prevalente nella stampa e dell’intellighenzia di sinistra, mai abbastanza sazia di antiberlusconismo militante, che ha alimentato e coltivato uno spirito antagonista e moralista nel suo stesso campo. Con queso mood ha scelto non di combattere, equiparandolo a un avversario anche se spesso lo è stato, ma di confrontarsi con spirito di umiltà e di apertura, di combattere insieme. Spesso senza incontrare altrettanta disponibilità e apertura. E per inciso, di questa retorica antiberlusconiana militante si è nutrita la campagna di logoramento di Matteo Renzi contro il governo Letta, fino a poco più di un anno e mezzo fa quando Berlusconi venne ricevuto al Nazareno.
Oggi, è proprio contro quella sinistra che viene brandita l’accusa di aver “bloccato” il paese. E nessuno sottolinea questa assurdità (con l’eccezione parziale di Piero Ignazi su Repubblica di ieri). Da quali pulpiti, con quali titoli e con quale onestà intellettuale si stia svolgendo questo dibattito (sostanziale e tutt’altro che agostano) sull’identità e le prospettive del Partito democratico, ognuno lo può giudicare.