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Campidoglio, Italia. Noi del Pd stamani in quella piazza

Sono stata a curiosare al Campidoglio, stamattina. Sono una giornalista, e sono del Pd. La piazza era piena, non pienissima come avevano sparato nei giorni scorsi. La gente non sapeva bene cosa fare. Avevano i cartelli, con scritto “daje” e “Marino ripensaci” e anche “Renzi stai sereno”. Guardavano verso le finestre. Cantavano Bella ciao e pure El pueblo unido jamas sera vencido. Avevano fatto delle fotocopie col testo.

C’era un gruppetto a centro piazza con le bandiere del Pd. C’erano tre signori che parlavano e uno diceva: “Io dar partito nun me ne vado manco se me pagano. Se lo scordano, questi, che je lascio er Piddì. A me me devono caccià”. Un altro diceva: “Ecciairaggione, sennò je fai un favore”. E un altro ancora diceva: “Essì ma tanto poi quando arriva Verdini che fai, te ne devi andà lo stesso”. E il primo: “Ma un conto è se me ne vado mo’ da solo, un conto è se me caccia lui per fa’ er partito della nazzione co Verdini”. (Ho pensato: se qualcuno vi ha messo qui per darmi speranza di non essere sola, grazie).  Continua a leggere

Totò e Marianna, Marianna che resiste

La prima notifica stamattina è di Marianna, il nome è finto. Marianna fa la segretaria di circolo del Pd, non è renziana ma non passa le giornate a gufare e non se n’è andata dal partito, non è una settantenne emiliana residuo della Ditta ma una giovane insegnante che vive in una grande città.

Mi allega il link con lo splash di Huffington post, titolo “La minoranza Pd è come Totò” e primo piano di Matteo Renzi col più strafottente dei sorrisi strafottenti che ha nel repertorio. Scrive Marianna: “Cara Chiara, ti posso dire che sono veramente schifata, che non ne posso più di leggere queste cose!!!”. Aggiunge: “Scusa se mi sfogo con te”.

Non so cosa rispondere, dico che anch’io in effetti non ne posso più. Lei scrive ancora: “Mi chiedo se valga la pena dedicare tanto tempo della mia vita a questo partito ridotto con questa gente”. Balbetto che la capisco. Che restare chiede più forza e più coraggio che andarsene. Che non potrà durare per sempre così.

Allora lei risponde: “Lo so Chiara. Non è facile essere sempre sbeffeggiati. Ma ha ragione Bersani, non siamo noi a dover andare via, io resisto. Sai che ho invitato al circolo l’onorevole X (della minoranza Pd ndr) e mi ha promesso che verrà a novembre? Stiamo decidendo la data. Sono così felice”.

Ora io volevo dirti solo una cosa, segretario. Tu credi di insultare qualche rompiscatole tipo me o qualche dirigente che ti fa saltare la mosca al naso perché osa contraddirti, ma invece tu insulti Marianna. Sappi che Marianna in un modo o nell’altro tra qualche anno avrà altro a cui pensare, o perché te ne sarai andato tu o perché se ne sarà andata lei. Ma se esiste da qualche parte un Dio della politica, io penso che cose come queste non te le perdonerà.

Pro-Quagliariello. In difesa della scissione dell’atomo

“Ce ne faremo una ragione”, “Io non trattengo nessuno”, e comunque “Va via perché non gli hanno dato un posto nel governo”. Chiaro? Se Angelino Alfano voleva dare ragione a Quagliariello, cioè dimostrare di essere ormai completamente renzizzato, basta leggere le sue reazioni alle dimissioni del coordinatore di Ncd negli articoli dei giornali di oggi. Sono tempi duri per chi prova a dire che qualcosa non va bene, a sollevare qualche dubbio in casa propria. E a dirla tutta, sono tempi duri anche per le persone di buona educazione.

Ciononostante, simpatizzare per Quagliariello (e Giovanardi, e compagnia), cioè per la “destra” (ateo)devota di Ncd non è facile. I commenti sulla “scissione dell’atomo” sorgono, come dire, spontanei. E però non cercatemi, tra gli sfottitori di quagliarielli: non mi trovereste. Quagliariello ha ragione.  Continua a leggere

Non è politica, è decido io

Ma davvero il giorno dopo questa catastrofe romana, con le macerie ancora fumanti, tutto quello che il segretario del Pd ha da dire, il messaggio che fa arrivare alla sua gente, ai suoi elettori romani e italiani, è “Ora niente primarie, decido io“?
Ho detto il segretario del Pd, attenzione. Non il presidente del consiglio. Che commissarierà, stanzierà fondi per il Giubileo, fisserà la data delle elezioni: lavoro suo. Ma il segretario del Pd, il partito che ha scelto questo sindaco, che ha governato questa città, che ha visto abbattersi il ciclone Mafia capitale, che ha commissariato il suo sindaco, che l’ha difeso, che l’ha cacciato, non ha nient’altro da dire che questo?
Non sto parlando di ragioni o torti. Non sto parlando di dirigenti da proteggere o da rottamare: sinceramente me ne frega il giusto, arrivati al punto in cui siamo, dei protagonisti di questa vicenda. Sto parlando di una comunità politica, che adesso dovrebbe fare una campagna elettorale se non sbaglio. Sostenere un sindaco, chiunque lo scelga. Esprimere candidati disposti a impegnarsi, anzi a “metterci la faccia” come si dice adesso, vero Matteo? Che le preferenze mica ci andrai tu a prenderle penso. Una comunità che dovrebbe avere un’idea di se stessa, e un’idea per questa città. Continua a leggere

Non ci canzonate: quattro cose su Verdini

Dopo la fantastica performance televisiva di Denis Verdini sento il bisogno di confutare, serenamente e pacatamente, alcune affermazioni che oggi vanno per la maggiore sui giornali, oltre che – naturalmente – nei peggiori bar di Caracas.

“Verdini canzona la minoranza Pd”. Avrà pure irriso Gotor e Migliavacca, l’amico Denis. Ma io se fossi Luca Lotti, e se Verdini mi cantasse al telefono “La maggioranza sai, è come il vento”, tanto sereno non starei. Maria Latella non aveva chiesto al suo ospite di cantare proprio questa canzone: la scelta, rapida e solo affettatamente riluttante, in un repertorio che immagino ampio, non può essere casuale. Comunque l’immagine di Luca e Denis che ridacchiano al telefono cantando canzoncine su Migliavacca è una fotografia perfetta del momento, grazie Verdini e grazie Latella per avergli chiesto di cantare. Fate girare.  Continua a leggere

Tonini contro i vietcong

Sempre interessante leggere le interviste di Giorgio Tonini, lo dico senza ironia. Oggi parla col Corriere, e dice una frase che mi gira in testa da stamattina. Dice: “In tutta Europa i sistemi parlamentari poggiano sulla disciplina di partito”. Ecco, mi sembra di no.

Non solo perché, poche pagine più avanti proprio il Corriere, in un costernato ritratto di Jeremy Corbyn, candidato “rosso” in testa nei sondaggi sul congresso del New Labour, ci dice che il Nostro, dalla svolta blairiana a oggi, ha votato contro le indicazioni di partito per cinquecento volte, roba che Fornaro e Gotor sono dei principianti. Il che non gli ha impedito di fare il deputato per trentadue anni e di candidarsi oggi non a fare la scissione ma a guidarlo, il suo partito.

Non solo perché Tonini stesso nella stessa intervista ci spiega che l’Italicum non è pericoloso perché anche in un parlamento di nominati “venticinque vietcong ci saranno sempre”. (E allora perché, se tanto ci sono sempre stati e ci saranno saranno sempre, proprio in questa legislatura li vogliamo sterminare sti poveri vietcong, dico io? Ma che sfiga hanno Gotor e Fornaro?).

Ma è vero che Merkel e Cameron possono contare sui loro parlamentari (per quanto liberi di dissentire), come del resto anche Renzi, che mette una fiducia a settimana e mi pare che l’abbia sempre ottenuta. La direi così, però: la democrazia parlamentare non poggia sulla disciplina di partito, bensì sui partiti. Partiti dico: non partiti della nazione in cui chi entra o chi esce fa lo stesso, non partiti personali in cui uno comanda e gli altri gli dicono bravo su twitter, e chi non si trova bene è un gufo. Partiti con una storia, che non fanno il sito nuovo rendendo inaccessibili tutti i contenuti degli anni precedenti. Partiti di cui i giornali non scrivono “vabbè allora dividetevi”, e gli avversari non dicono “via, cacciate un po’ di gente che i voti ve li diamo noi” senza che dalla segreteria esca una mezza parola che spieghi che nessuno deve azzardarsi a evocare scissioni, che il gruppo dirigente è il garante dell’unità e che non si accettano intromissioni sulla vita interna del partito.

Mi sto dilungando. Ma io parlerei volentieri di questo, più che di disciplina. Scommetto che in quei partiti lì, quelli europei, di disciplina si parla assai poco. Perché non ce n’è bisogno.

Su Azzollini e il Pd, in dieci punti

Dato che sui social network temo di non farmi capire, e invece ci tengo:

1) sono felicissima che il senatore Azzollini non vada in galera. Sono felicissima che chiunque non vada in galera. E neanche agli arresti domiciliari.

2) non ho la più pallida idea sull’esistenza di un fumus persecutionis della procura di Trani contro Azzollini. Non ho letto le carte, nemmeno una riga.

3) però il punto è che il fumus o c’è o non c’è. Non è che il giudizio su una richiesta di arresto può dipendere dal fatto che la procura di Trani prende iniziative un po’ strane o che Azzollini deve avere la presunzione di innocenza come tutti. No: si deve valutare se c’è il fumus e poi votare.

4) per questo non  capisco l’sms del presidente Zanda che dice: leggete le carte e giudicate secondo coscienza. E ci mancherebbe altro che un senatore votasse senza leggere le carte e contro la sua coscienza sull’arresto di un altro senatore. Tanto più che il voto su questi temi è segreto, quindi la coscienza è libera per definizione.

5) a meno che Zanda non volesse dire qualcos’altro, che i senatori Pd infatti hanno capito benissimo, e infatti hanno votato in gran parte (due terzi del gruppo, pare) contro l’arresto.

6) se tu Partito democratico vuoi votare contro l’arresto di Azzollini sei liberissimo di farlo e forse fai bene. Però te ne prendi la responsabilità e me lo spieghi, tu che hai le carte sottomano, anche perché, partito mio, in commissione avevi votato a favore, il tuo presidente aveva definito l’arresto “inevitabile” e così io non ci capisco niente (e il grillino gode).

7) che poi la tua vicesegretaria, caro Pd, dichiari due ore dopo il voto che era meglio votare a favore dell’arresto perché “non solo mi sembra corretto rispettare l’approfondito lavoro della Giunta, che così risulta quasi svilito, ma resto convinta che la politica abbia il dovere di mantenere la massima trasparenza nei confronti dei cittadini e della giustizia. Temo che si sia persa un’occasione per dare un buon segnale di cambiamento”, mi fa proprio cadere le braccia. Perché:

8) mandare in galera qualcuno non è “un segnale di cambiamento” e non si manda in galera nessuno per dare segnali.

9) la Serracchiani non li aveva letti i giornali stamattina prima del voto? Non sapeva dell’sms di Zanda? Come mai non è intervenuta?

10) non ci potete trattare proprio come se fossimo tutti scemi, perché non lo siamo e ci potremmo anche arrabbiare tantissimo.

Matteo Renzi, un leader senza partito

Ho scritto questo per i giornali locali del gruppo l’Espresso (Il Tirreno, La Gazzetta di Mantova, Il Mattino di Padova, Il Piccolo, Il Centro, La Gazzetta di Reggio, La Gazzetta di Modena, Alto Adige, Il Trentino, Il Messaggero Veneto, La Nuova Sardegna, La Nuova Venezia, La Città di Salerno e altri)

Alla fine, Matteo Renzi ha chiuso la telenovela sulla sua partecipazione alla Festa dell’Unità di Roma nel modo a lui più congeniale: con una trovata comunicativa. Un blitz alla vigilia della data prevista, qualche selfie, una partita a biliardino e niente comizio, con motivazione all’attacco, affidata ai giornali: «Se la vedano loro». Più ancora del curioso fenomeno di un segretario che, invitato alla festa del suo partito, pone per giorni le sue “condizioni” prima di decidere se accettare; che essendo la festa in questione quella di Roma – ed essendo il caso di Roma e della sua giunta guidata da un sindaco Pd in prima pagina su tutti i giornali del mondo – ci tiene a far sapere che però non parlerà di Roma; che infine va alla festa un giorno prima del previsto per premunirsi da “imboscate”, colpisce osservare in rete le foto della serata. Quelle immagini del segretario in mezzo ai militanti assomigliano ben poco a qualunque foto di altri leader in situazioni analoghe, trasmettono freddezza, distanza, forzatura: comunicano estraneità. Continua a leggere

Perché non vuoi Verdini, ovvero: e adesso, pubblicità

Ho conosciuto un ragazzo che lavora nella pubblicità. Dice che quindici anni fa, appena laureato, ha fatto una selezione come creativo ed è arrivato primo, su diverse centinaia. Dice che da allora si è divertito un sacco, ed è pure un bel posto penso, pagato bene. Però non ne può più. Vuole, vorrebbe, andarsene. Dice che il pubblico italiano è cambiato, anzi ve la dico tutta: che è regredito. Che non è più in grado di capire un messaggio un pochino più sofisticato di “compra questo, è buono”, oppure “prendi quello, conviene”. Niente ironia, doppi sensi, suggestioni: sono cose inutili, anzi danno fastidio, spiazzano. Niente messaggi complessi o almeno un pochino sofisticati. Niente creatività. Sennò la gente si confonde, non capisce. “Prendi questo”. “Accattatevillo”, avrebbe almeno detto anni fa Sofia Loren con un bel po’ di malizia, fascino e (auto)ironia: spot audaci a guardarli oggi, cose che non si fanno più. Continua a leggere

La disciplina di partito

Nemmeno Matteo Renzi può tutto: nonostante la riuscita operazione mediatica sulle tasse, il tema delle difficoltà del Pd sul “territorio” e dello stato di tensione che quasi ovunque attraversa il partito non si riesce a far sparire dai giornali. Un po’ forse è anche per ingenuità dei dirigenti Pd, che continuando ad alludere a “strette regolamentari” anti dissenso in realtà non fanno che enfatizzare il problema. Ma forse non si tratta di ingenuità, come vedremo.  Continua a leggere