Ho scritto questo per i giornali locali del gruppo l’Espresso (il Tirreno, la Gazzetta di Mantova, il Mattino di Padova, il Piccolo, il Centro, la Gazzetta di Reggio, la Gazzetta di Modena, Alto Adige, il Trentino, il Messaggero Veneto, la Nuova Sardegna, la Nuova Venezia, la Città di Salerno e tanti altri)
Dicono i sondaggi che Sergio Mattarella, praticamente uno sconosciuto per i non addetti ai lavori al momento della sua elezione al Colle, sia diventato rapidamente, nonostante i suoi proverbiali silenzi e la sua naturale compostezza (che non diventa mai però freddezza o distacco) il più popolare politico italiano. Con la necessità di fare le prime scelte, la luna di miele comincia ora, inevitabilmente, ad affrontare i primi scogli. Alla fine della settimana in cui ha firmato e promulgato, rapidamente e senza osservazioni, la nuova legge elettorale rocambolescamente approvata dalla camera, il presidente è ora un po’ più solo, alla vigilia di un’altra tempesta parlamentare e politica strettamente collegata all’Italicum: quella sulla riforma del senato.
Si dice che la Costituzione su questo punto è una “fisarmonica”, che ci siano stati tanti modi di fare il presidente quanti sono stati i presidenti. È presto per dire che presidente sarà Mattarella, ma una cosa già si può dire: non riterrà di spiegare e motivare ogni volta, né in via formale né in via informale, i suoi gesti e i suoi atti, convinto che i gesti e gli atti parlano per lui. Se ha promulgato l’Italicum, insomma, è perché ritiene che non vi sia la “manifesta incostituzionalità” di cui parla la Costituzione. Il primo presidente arrivato al Colle direttamente dall’altro lato della piazza, quello della sede della Consulta, sa bene che la storia è piena di leggi promulgate dal Quirinale e poi cassate o modificate dalla Corte. Lui si è limitato a constatare che l’Italicum non ha i difetti (premio senza soglia e liste bloccate lunghe) rilevati dalla Consulta nella sentenza che ha bocciato il Porcellum.
C’è da scommettere che al presidente non sia piaciuto il clima in cui la riforma è stata approvata: si dice che il presidente silenzioso risponda al telefono a tutti, ascolti tutti, sappia tutto della politica e del parlamento. E certo ha molte orecchie nel Pd, il partito uscito più lacerato da questo passaggio, che ha visto addirittura le dimissioni del capogruppo e la sostituzione forzata di metà della delegazione in commissione affari costituzionali. Ma il presidente ritiene, ancora una volta, di non intervenire se non ravvisa violazioni della Carta di cui è garante: ci sono i presidenti delle camere, a loro spetta la responsabilità di garantire il rispetto dei regolamenti e della prassi parlamentare.
A maggior ragione, il Quirinale tace sulla riforma costituzionale che è ancora all’esame del parlamento. Il che non significa che il presidente non colga le criticità del testo e le tensioni che vi si accentrano, nonché il legame strettissimo con la riforma elettorale che ha appena promulgato. Una firma che, per certi versi, Mattarella ha messo “al buio”: perché l’Italicum è una riforma che vale solo per la camera e in qualche modo “presuppone” l’abolizione del senato elettivo, in realtà non ancora approvata. Questione delicata: la nuova legge elettorale contiene una clausola di salvaguardia che ne rinvia l’entrata in vigore al primo luglio 2016, proprio per consentire il completamento dell’iter della riforma costituzionale. Molti osservatori ritengono che il governo potrebbe facilmente aggirare la clausola con un decreto, e che per questo Matteo Renzi si sia preso fin da adesso le chiavi della eventuale fine anticipata, in qualsiasi momento a lui favorevole, della legislatura. Al Colle però si osserva che alla camera è stato approvato un ordine del giorno che ribadisce la clausola di salvaguardia, su cui il ministro Boschi, in aula, ha dato parere favorevole a nome del governo. Un atto pubblico e ufficiale, dunque. Che Mattarella, nel caso, farà valere, perché come disse nel suo discorso di insediamento, stipulando un vero e proprio patto con le camere, “all’arbitro compete la puntuale applicazione delle regole. L’arbitro deve essere – e sarà – imparziale. I giocatori lo aiutino con la loro correttezza”.
Ma ancora una volta, essere convinto che occorra completare le riforme non significa in alcun modo, per Mattarella, esprimere un parere sul loro contenuto: il parlamento è comunque sovrano. E quindi ciò che conta è che le camere esaminino e votino sul nuovo senato e sulle altre modifiche costituzionali. Se non dovessero avere i numeri per essere approvate nella formulazione attuale, il parlamento le corregga o le respinga. Al Colle si limitano a far osservare che, nel caso, nulla osta che si voti con due sistemi diversi per senato e camera (anzi a dirla tutta la costituzione esplicitamente lo prevede): per cui si potrebbe tornare a votare anche per il senato, con il Consultellum. Quindi nessuno pensi di forzargli la mano né sulla chiusura anticipata della legislatura né sull’approvazione forzata di riforme senza consenso. Che il presidente tace, ma che acconsenta non è detto.
Attendiamo fiduciosi che si esprima nel caso che ……. !