Lui sa fare tutto, ogni tanto lo chiamiamo per qualche lavoretto qui nel condominio. Ma di solito non è lui a chiamare, poi a quest’ora, boh. Tra il suo italiano e la sua timidezza mi ci è voluto almeno un quarto d’ora per capire cosa voleva. Dice che ha trovato una borsa e un portafoglio con dentro documenti di qualcuno, uno straniero. Dice che c’è anche un “biglietto per partire”, insomma: lui pensa che bisogna cercare subito questa persona perché forse deve prendere un treno. Capisco che si risparmierebbe di occuparsene lui, ma “c’è un biglietto”: è urgente. Mi chiede cosa deve fare. Dico ma non c’è un numero di telefono? Dice che non capisce cosa c’è scritto su quelle carte nella borsa, è la borsa di uno straniero che deve andare da qualche parte. Dico senti ma tu sei a posto? Ce li hai i documenti? Dice sì sì, a posto. Dico allora devi andare alla polizia o dai carabinieri. Sai dove andare? Ce ne sono tanti, non so dove sei adesso. Vedi le macchine parcheggiate fuori, c’è scritto polizia o carabinieri. Mi spiega che è dalle parti della stazione Termini. Dico allora vai alla polizia della stazione, o ferma un poliziotto qualsiasi dentro la stazione, ce ne sono sempre. Dice sì, ma per questo io ti ho telefonato. Dice io no italiano, paura che pensano che ho rubato io. Gli spiego che non deve avere paura, perché se avesse rubato o fatto qualcosa di male non andrebbe a cercare un poliziotto, cerco di convincerlo, dico che il poliziotto penserà come ho detto io. Ma lui finalmente riesce a dirmi quello che mi voleva dire: per questo ti ho chiamato. Perché se il poliziotto non mi crede, posso fargli vedere il tuo numero sul mio telefono e dirgli di telefonare a te. Io posso?
Ha richiamato. Dice tutto a posto, mi hanno solo fatto qualche domanda, ma tutto a posto. E dice anche: grazie. Dico hai fatto una cosa giusta, era uno straniero come te, magari poteva trovarsi in difficoltà. Dice: io quello ho pensato. Sei stato bravo, gli dico. Grazie.