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Rassegna Quirinale/5: la lingua in bocca

Con una cinquantina di voti, determinanti, come ricorda Paolo Romani, di Forza Italia, respinti gli emendamenti dei “parassiti” del Pd (quelli che “restano ribelli”, per citare una frase cara al capo, e si giocano così presumibilmente il posto buono al prossimo giro, mentre chi, da elettore di Gianni Cuperlo al congresso, si presta a presentare emendamenti trappola ammazza minoranza e pro liste bloccate è evidentemente un eroe e un esempio di come ci si comporta nella Ditta) e si mette in banca l’Italicum.
In tutto questo passaggio parlamentare, il leader del Pd non ha mai concesso ascolto a nessuna delle istanze presentate dalla minoranza, che pur a partire da un giudizio molto negativo sulla legge, aveva limitato a pochi circoscritti emendamenti la materia su cui dare una battaglia da settimane e mesi annunciata come dirimente. La minoranza Pd in questi mesi ha votato sempre sostanzialmente tutto, anche provvedimenti che dichiaratamente non condivideva. Ha accettato qualunque mediazione, anzi spesso (vedi Damiano sul jobs act) se m’è fatta carico in proprio. Continua a leggere

Il premio al partito ammazzando il partito

Quindi – grande vittoria – abbiamo strappato a Berlusconi il sì al premio alla lista e non più alla coalizione. Io sono d’accordo. Per chi ha creduto nel Partito democratico, poter finalmente votare direttamente per il proprio partito, e poter puntare a vincere col proprio partito, è una soddisfazione grande, in un paese nel quale per anni per essere cool bisognava parlare male dei partiti, e per avere chances di vittoria alle elezioni bisognava nascondere il partito in qualche calderone indistinto, e per essere leader era meglio se rinnegavi la tua storia di partito. L’avevo anche scritto – altri tempi – qui.
E tuttavia, proprio oggi, mi chiedo: cos’è un partito? Un posto dove io ci sto, ma se io non sono d’accordo si va da Verdini e ci si mette d’accordo con lui per fare quello su cui io non sono d’accordo. E se poi anche un pezzo del partito di Verdini non è d’accordo, chi se ne frega tanto i numeri ci sono. È questo, un partito? Che partito è? Cosa lo voto a fare?

Rassegna Quirinale/4: la domanda che nessuno fa

Niente, davvero niente di interessante. Spin, spin e ancora spin. Incontri interlocutori e pilotatissime voci secondo cui Tizio “avrebbe proposto” Caio, come se l’onere di proporre un nome, aprendo la partita, non spettasse soltanto a chi in questa tornata quirinalizia assomma le cariche di segretario del partito di maggioranza relativa e presidente del consiglio. Ma niente, tutti son lì che “propongono” questo e quello, scrivono i giornali. Vogliono farci credere che, ex premier, vecchie volpi, leader storici, capi politici, sono tutti ragazzini deficienti con una scatola di cerini in mano, che giocano a bruciare i loro preferiti dandoli in pasto ai giornalisti.
Si vedrà col tempo dove vuole portarci chi organizza questo giochino, contando sulla vanità di chi ogni sera deve pur tornare in redazione con in tasca una “notizia”. Intanto nessuno – nessuno – pone a Matteo Renzi una piccola, semplice domanda: perché, a pochi giorni dall’inizio delle votazioni, il leader del Pd non fa niente – niente – per pacificare il suo partito, e anzi drammatizza i dissensi (“Vogliono pugnalarmi alle spalle!”), lancia ultimatum (legge elettorale), provoca strappi (Cofferati), dà platealmente e pubblicamente argomenti a chi lo accusa di essersi messo in mano a Berlusconi contro un pezzo di Pd (incontro con Berlusconi)? Che interesse ha a fare questo? Che messaggio sta trasmettendo, non alla minoranza Pd, ma all’Italia? Perché lo fa? Non sa fare altrimenti? Non può fare altrimenti? Non vuole fare altrimenti?
Ma le domande, si sa, non vanno di moda. Meglio giocare al Totoquirinale, vuoi mettere? Chi propone oggi la Bindi? Interessante, no?

Rassegna Quirinale/3: tutto chiaro

È lunedì, oggi poca roba. Ma per avere un’idea chiara su cosa sta succedendo, basta scorrere i titoli dei due principali quotidiani. Dopo lo strappo di Cofferati, questa è dunque la situazione nel Pd a dieci giorni dal primo voto per il Colle:

Corriere della Sera: “Renzi preoccupato, ma non dà spazio alla minoranza”.
Repubblica: “Renzi – Bersani, patto a due per scegliere il candidato”.

E con questo, direi che per oggi siamo a posto. (Vabbè).

Ma perché al quarto voto? (Storia di una bugia, o di un imbroglio)

(Questo post è stato scritto per Huffington post Italia)

Matteo Renzi ha detto più volte che il nuovo presidente della repubblica sarà eletto alla quarta votazione, la prima in cui il quorum richiesto scende da due terzi a metà dell’assemblea dei grandi elettori. Un modo per impegnarsi a fare (relativamente) presto, e anche un modo, si dice, per tenere sotto pressione i grandi elettori: come dire non fate scherzi, non puntate alla palude, perché se non ce la facciamo in pochi giorni mi arrabbio e andiamo a casa tutti.
Tuttavia questa impostazione metodologica non ha alcun senso logico, e stupisce che nessuno, nelle numerose interviste e conferenze stampa del premier, glie ne abbia ancora chiesto conto. Come ha ricordato qualche giorno fa sul Foglio Giuliano Cazzola evocando il precedente dell’elezione di Francesco Cossiga nel 1985 alla prima votazione, se davvero si vuole eleggere il presidente coi voti dell’opposizione politica non si può che puntare a eleggerlo nelle prime tre votazioni: semplicemente perché, dopo, i voti dell’opposizione non servono più. È dunque interesse innanzitutto di Silvio Berlusconi e del “Patto del Nazareno”, cioè anche di Renzi, che il presidente venga eletto con la maggioranza dei due terzi e quindi col necessario apporto di Forza Italia. È certamente questo l’obiettivo di Berlusconi (come di Alessandro Natta nell’85 e di Berlusconi stesso due anni fa), se vuole che i suoi voti siano determinanti. Continua a leggere

Ossessionati da Berlusconi a chi?

(Questo post è stato pubblicato su Huffington post Italia)

No però scusate, ma ossessionati da Berlusconi a chi? Io non ce l’ho mai avuta, l’ossessione. Io mi definivo una cattolica di sinistra da prima che Berlusconi scendesse in campo, sebbene fossi molto giovane, e tale mi definisco ancora adesso, vent’anni dopo, e intendo restare tale per i prossimi vent’anni almeno. Non c’entra niente Berlusconi con quello che sono.
Io in questo ventennio non ho mandato i post it, non mi sono fatta le foto col bavaglio, non sono andata in piazza con la Guzzanti e con Travaglio.
Io ho criticato, se non le condividevo, le decisioni dei magistrati.
Ho scritto articoli in difesa di Ottaviano Del Turco, arrestato da presidente della regione in carica perché uno indagato per corruzione si era fatto una foto con un sacco pieno di non si sa cosa davanti alla porta di casa sua.
Ho sostenuto che regolamentare le intercettazioni telefoniche fosse necessario e non fosse necessariamente una legge bavaglio.
Ho detto e pensato che probabilmente le inchieste e i processi sulla vita privata di Silvio Berlusconi non sarebbero andati lontano, e che comunque non avevo bisogno di quelle inchieste e di quei processi per confermare la mia opinione politica e anche morale sulla persona pubblica di Silvio Berlusconi.
Ho cercato di ragionare su questioni come la fine della vita come su questioni complesse e drammatiche, quali sono, indipendentemente dalle posizioni strumentali che via via assumeva il Cavaliere.
Ho sostenuto che sulle riforme costituzionali si dovesse dialogare con tutti, soprattutto con chi rappresentava l’altra metà del paese.
Ho apprezzato anche il patto della crostata e la Bicamerale, come il tentativo, forse ingenuo nella modalità, di trovare una mediazione, perché la cultura della mediazione è la mia cultura politica e non è l’inciucio, è Aldo Moro. Continua a leggere

Se un partito va a cena con Buzzi

Se in questi giorni ho insistito sui social network sulla necessità che il Pd dica con trasparenza chi ha partecipato alla cena di finanziamento all’Eur del mese scorso non è per un riflesso giustizialista (che non mi appartiene) né per una cinica ritorsione di partito (sebbene forse sarebbe giusto ricordare in che modo l’argomento “trasparenza” e “gestione dei finanziamenti” sia stato usato nel mio partito, il Pd, anche in tempi piuttosto recenti. E mi fermo qui, per pudore).
Il motivo, dicevo, è un altro. Se verrà confermato, come scrive oggi il Fatto quotidiano, che Buzzi o qualche altro indagato nell’inchiesta Mafia Capitale era seduto a tavola alla cena di finanziamento del Pd, non lo considererei uno scandalo. Può capitare a qualunque personaggio pubblico di trovarsi a cena con la persona sbagliata, e del resto è difficile controllare i meccanismi di invito di un evento come quello, in cui si chiede a decine e decine di persone di “portare qualcuno”. La presenza di Buzzi o di altri a quella cena non dimostra niente contro nessuno, e chi è accusato di qualcosa non è certo accusato del reato di cena. Del resto, se le accuse ipotizzate verranno confermate nei processi, una commistione di alcuni esponenti del Pd con certi ambienti sarebbe dimostrata e quindi sarebbe inevitabile che di essa si trovasse un riflesso nella lista dei partecipanti alla cena. Insomma non è certo la cena a dover scandalizzare.

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Relazioni internazionali. I renziani e il Pse

Come è noto, sentir dire che Renzi “ha portato il Pd nel Pse” mi suscita una certa, motivata, irritazione. Così stamattina, dopo aver letto la lettera del presidente del consiglio a Repubblica (anzi per la verità già dopo le prime tre righe), ho ripubblicato il mio post di qualche settimana fa in cui spiegavo che il Pd oggi è nel Pse non grazie a Matteo Renzi, ma nonostante quello che ne pensavano Renzi e i renziani, che poi, buon per tutti, hanno cambiato idea.
Siccome qualcuno si è arrabbiato e mi ha insultato dicendo che racconto bugie (ma poi non mi ha saputo spiegare quali bugie), vorrei aggiungere altri due fatti circa coloro che sono stati scelti dal premier come i suoi più stretti collaboratori in fatto di politica estera e relazioni internazionali.
Il ministro degli esteri, Paolo Gentiloni, all’indomani del voto della direzione sull’adesione al Pse scrisse questo commento per Europa. Titolo e sottotitolo mi sembrano piuttosto espliciti.
Quanto al sottosegretario alla presidenza con delega alle politiche europee, Sandro Gozi, ha continuato a partecipare “a titolo personale” alle riunioni dell’Ade (lo schieramento centrista europeo, alternativo al Pse), anche per tutta la legislatura europea 2009-2014, cioè dopo che i deputati europei del Pd, sotto la segreteria Franceschini, avevano aderito al gruppo del Pse.
Si tratta, in entrambi i casi, di “renziani della prima ora”. Questo forse può aiutare a capire cosa si pensava e si pensa, in fatto di relazioni internazionali, nell’entourage stretto del premier. E come mai è stato così difficile, per i segretari che l’hanno preceduto (e tuttavia ci sono anche riusciti), costruire l’approdo del Pd nel campo della sinistra europea.

In quale direzione

Leggo che alla direzione del Pd di stasera, convocata d’urgenza con un sms e due giorni di preavviso in orario notturno, così da venire incontro – immagino – alle esigenze del territorio, si voterà su: Jobs act, legge elettorale, legge di stabilità e riforme costituzionali. Leggo che bisogna correre, correre, correre.
Speriamo che ci spieghino anche perché corriamo, con l’occasione. Perché con le aziende che chiudono, gli argini che crollano e il governo stabile fino al 2018 si debba correre tanto per fare subito subito la legge elettorale ad esempio.
Perché se “il patto scricchiola” e siamo pronti a proseguire senza Berlusconi non possiamo fare, come abbiamo sempre detto di voler fare, i collegi uninominali, invece di quella cosa delle liste un po’ bloccate è un po’ no, anche.
Perché se abbassiamo le soglie per far contenti i “piccoli” e anche i minuscoli, andiamo avanti con una riforma dichiaratamente pensata per rendere il nostro “un sistema fondato su due grandi partiti” (che poi non ho mai capito qual era il secondo grande partito, visto che Forza Italia è il terzo).
Cosa vuole fare insomma Matteo Renzi, a parte correre e dare titoli ad effetto ai giornali? Verso dove stiamo correndo, presidente? Se ce lo spiega in modo convincente, sarebbe importante. Se magari qualcuno stasera glielo chiede, ci fa un favore. Che noi possiamo solo guardare lo streaming, e comunque abbiamo già il fiatone. Grazie.

Così si uccide l’Ulivo, e Renzi è l’assassino

A rivederla in tv, l’ultima sequenza della Leopolda 5, quella in cui il segretario del mio partito aizza il suo pubblico e chiama la standing ovation contro il mio partito, la sua storia e i suoi protagonisti, assicurando che “non sarà consentito” a costoro di “riprenderselo”, continua a provocarmi un’ondata di pensieri e sensazioni. Sono diverse ore che rimando l’appuntamento con la tastiera, perché non si dovrebbe scrivere quando si è arrabbiati. Ma ci devo provare.
Credo che non capiti niente del genere in nessun partito al mondo. Ma va bene ho capito: Matteo Renzi vuole solo applausi, vuole liberarsi da chiunque possa offuscare il suo splendore, considera insulto ogni critica, tratta come un nemico chiunque non si allinea al suo insindacabile – per quanto variabile – giudizio su cosa sia giusto, bello e buono, su quale sia il cambiamento che serve all’Italia. Dichiara di rispettare e poi disprezza. Non rispetta niente in realtà Renzi, non riesce a rispettare niente di quello che non può sottomettere. Purché tutto ciò abbia una caratteristica: stare dalla sua stessa parte. Se sono avversari no, va bene: allora Renzi diventa ragionevole, cordiale, capace di mediazione. Non so neanche se lo faccia apposta, se sia carattere o strategia. Tuttavia, ecco, mi chiedo: qual è la strategia di Renzi?

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