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Partito della nazione? Io preferisco cambiare il mondo

Sulla direzione di ieri gli amici del sito Intelligo News mi hanno fatto questa intervistina che vi invito a leggere, il titolo è un po’ forte ma diciamo che avevo detto che “se lo intendiamo così”, come sembra di capire, il partito della nazione che ha in mente Renzi è il contrario del centrosinistra e dell’Ulivo, secondo me.
Una senatrice ieri in direzione ha detto che il Pd è un partito aperto, ma così aperto, che “raccoglie tutto quello che c’è in giro”. Ora, a parte che detto così sembra l’Ama, a me non è che piaccia così tanto, quello che c’è in giro. Io, che ci volete fare, sono una che vuole cambiare il mondo. Per questo mi appassiona la politica. E per questo sono una persona di sinistra.
Su ieri c’è anche altro da dire, io penso che sia stata tutto sommato un’occasione persa. Un’occasione di parlarsi con verità, soprattutto. Come facciamo a fare il bipartitismo con tre poli, per esempio (grazie a una legge elettorale che sarà approvata insieme al terzo, peraltro). Cosa ci differenzia dalla destra, ammesso che. Che cos’è la Leopolda (“veniteci anche voi” no, non è una risposta). Come si fa politica senza soldi e senza dipendere da chi ce li ha e te li dà. Questo calo degli iscritti, se c’è o no. E soprattutto se ci dispiace o è una bella cosa. Come si fa a dire “la prossima volta che eleggiamo il presidente della repubblica non dovremo farci condizionare da twitter” dopo aver capeggiato la rivolta su twitter. Cosa vuol dire disciplina, cosa vuol dire lealtà. Però è stato detto che era un inizio, la riunione di ieri. Non ho capito bene come si prosegue, ora. Ma confidiamo.

A proposito, molte cose che penso e che comunque trovo interessanti sul partito della nazione le trovate qui.

Lo storytelling truffaldino della “sinistra conservatrice”

Più che interessarsi della sostanza – abolire l’articolo 18 – che come qualcuno comincia a sospettare al presidente del consiglio sta a cuore fino a un certo punto, e infatti non spiega mai bene né perché né come, a me pare che Matteo Renzi e i renziani più stretti vogliano raccontarci una storia.
La storia (storytelling, direbbero loro) è quella di un’Italia ingessata, vecchia, imbrigliata dai conservatorismi della sinistra (la “vecchia” sinistra of course, ma a Che tempo che fa al premier è scappato pure un mezzo insulto alla “sinistra” senza aggettivi, cosa che ha fatto sobbalzare pure Fazio, che ha dovuto ricordargli, ahem, che il capo della sinistra è lui) e del sindacato. Insomma quella “sinistra conservatrice” che si è sempre opposta alle riforme è il motivo per cui siamo messi come siamo. Mica come Blair, mica come Clinton: sto schifo di sinistra che ci è toccata a noi.
Questa storia, vorrei far rispettosamente notare, non solo è precisamente la storia raccontata per anni dagli avversari politici della sinistra e dagli editorialisti dei giornali di centrodestra. Questa storia, alla quale purtroppo mi pare anche molti di noi finiscono col credere, è proprio falsa.
L’Italia in questi vent’anni non è stata governata dalla sinistra conservatrice, bensì da una destra piuttosto caratterizzata come tale: una destra molto di destra, ecco. Anche perché scusate ma qualcosa non torna: se questa vecchia sinistra plumbea perdeva sempre e ha sempre perso e anzi le piaceva perdere, come dice il premier dall’alto della sua maggioranza misteriosamente originatasi dall’ennesima sconfitta, non vi pare un po’ strano sto fatto che poi sia stata sempre al governo? E infatti i presidenti del consiglio non si sono chiamati Bindi, Bersani, Cofferati e Camusso, se ci fate caso, bensì, prevalentemente, Silvio Berlusconi. Lo ricordate anche voi ora che ci pensate, non è vero?
Lo stesso governo del professor Mario Monti (che non era Che Guevara) era sostenuto da una maggioranza di larghe intese in un parlamento in cui largamente prevaleva la destra (e già che ci siamo è stato fatto per mandare via Berlusconi, non per fare il governo con Berlusconi).
Non solo: quando la sinistra ha governato (perché qualche volta la sinistra in questi vent’anni ha anche vinto, mentre Renzi era distratto) non ha conservato: ha innovato e riformato. Sanità, scuola, trasporti, commercio, energia, gas, professioni, pubblica amministrazione tra le altre cose. Nello specifico, essa ha precisamente introdotto flessibilità nel mercato del lavoro (pure troppa, dice oggi – anzi domenica scorsa al Corriere – non a caso D’Alema, uno dei protagonisti indiscussi delle brevi stagioni della sinistra al governo). Quindi incolpare la sinistra per le rigidità del mercato del lavoro (rigidità che, dimostrano i dati OCSE usciti sui giornali, sono comunque nella media se non inferiori a quelli degli altri paesi europei) è una balla, storicamente infondata e insensata.
Questa è la storia vera, il resto sono chiacchiere per una politica furbetta che rischia di farci rompere l’osso del collo a tutti, non solo a qualcuno. E in questo senso sono inaccettabili dentro un partito e dentro una comunità, che un’idea condivisa di se stessa ce la deve comunque avere.

Il video di Renzi: qualche volta un giornalista servirebbe

Disintermediando e disintermendiando, alla fine del videomessaggio di Renzi secondo me un giornalista sarebbe servito. Invece di andare in visibilio per il “ritmo” e per la scelta della colonna traiana come sfondo, il collega avrebbe potuto chiedere: “E quindi, perché volete abolire l’articolo 18?”. Perché lui, il premier, ci dice che Marta aspetta un bambino e Giuseppe è precario, ma dell’articolo 18 NON NE PARLA. Niente. Nemmeno un accenno al motivo per cui il governo ritiene, se lo ritiene, di dover abolire per i nuovi assunti il diritto di non essere licenziati senza una giusta causa. Proprio zero. Se il tema di ieri era l’articolo 18, il video di Renzi è totalmente fuori tema. Scusate, ma a volte un giornalista servirebbe. Se facesse il mestiere del giornalista, chiaro.

Il rutellismo di Renzi (dotto post per cultori della materia)

Dire che il Pd e il governo sono “a trazione Margherita”, come ha sostenuto Claudio Cerasa in una godibile conversazione con Francesco Rutelli sul Foglio, oggi ripresa da Scalfari, significa dire da un lato una banalità, dall’altro una profonda verità.
Non c’è dubbio infatti che Matteo Renzi provenga dalla Margherita, e così molte delle persone di cui si fida e con cui ama lavorare. Non c’è niente di strano, così com’era normale che tra gli amici storici di Bersani prevalessero gli ex diessini. Tuttavia chi vedeva istericamente “rosso” nella precedente gestione del Nazareno aveva torto: con due pesi massimi come la Bindi e Letta al fianco e Dario Franceschini a capo del gruppo alla camera non si poteva certo dire che il Pd bersaniano non rispecchiasse il pluralismo interno. Così come oggi si potrebbe obiettare che Matteo Orfini e Debora Serracchiani (e Roberto Speranza a Montecitorio) “controbilanciano” specularmente l’estrazione schiettamente democristiana di un Lorenzo Guerini e quella a cavallo tra prima e seconda repubblica (e quindi demorutelliana) del nuovo leader.

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Intervista sul Pd

Un paio di giorni fa il sito Intelligonews.it mi ha fatto un’intervista. La metto qua, per non perderla. La firma è di Marta Moriconi.

Chiara Geloni è una donna che spegne per sempre i tanti pregiudizi sulle bionde. Su IntelligoNews l’ex direttore di YouDem, da sempre fedelissima di Bersani ma da gennaio disoccupata, con sagacia e lucidità evita polemiche personali ma non si tira indietro alle critiche politiche. Perché “la coerenza per me è un valore” ci dice, ma “ognuno fa le sue scelte”. Chi è più adatto di lei per commentare quello che sembra il riaccendersi di uno scontro interno al Pd che vede (di nuovo) protagonisti consapevoli o meno Bersani, Renzi e D’Alema? Ecco il suo parere sul Pd post-vacanziero.
Sul problema del segretario-premier, Bersani dà ragione a Civati (come ci ha detto) o è il contrario?

“Io rispetto molto Civati che ha fatto una bella campagna alle primarie e secondo me ha assunto un posizionamento politico intelligente dopo. Era difficile perché gestisce un’area faticosa da un piede fuori e uno dentro. Spesso e volentieri lo condivido, però non deve dimenticarsi che se ci troviamo in questa situazione è anche per colpa sua. Il vostro titolo era un po’ malizioso, ma la mia battuta taggata al vostro indirizzo significava che, se ci fosse stata una valutazione maggiore sulle conseguenze del voto dei 101 ma anche sulla scelta di non votare Marini, oggi si sarebbe affermata un’idea di partito un po’ diversa… e che piacerebbe di più anche a Civati”.

Perché è un problema Renzi segretario-premier e perché proprio ora? Continua a leggere

Quello che non ho è una camicia bianca (Piccolo retroscena)

Altri tempi, quel 5 novembre del 2011. Niente camicie bianche, su quel palco, anche perché faceva un freddo notevole mentre calava la sera su San Giovanni. Giacche scure e cravatte rosse piuttosto, roba che non ispirò pindarici voli letterari. Ma pazienza.
“Ricostruzione”, era la parola chiave di quella manifestazione. Altri tempi, tempi di macerie, macerie su cui non si voleva vincere, allora. Il berlusconismo di governo agonizzava, la sinistra europea accettò di venire su quel palco per aiutarci a dare l’ultima spinta. Ci riuscimmo. Pochi giorni dopo quella sera a San Giovanni, il Cavaliere saliva al Quirinale con la lettera di dimissioni.
Ricordo un dettaglio di quella manifestazione con Sigmar Gabriel, il tedesco leader del più antico e grande partito della socialdemocrazia europea, che ci chiamava “compagni” in italiano, e Francois Hollande, nel pieno della sua campagna elettorale, che alla fine decise per un video che nella redazione di Youdem passammo la serata precedente a tradurre e sottotitolare. Ricordo che qualche giorno prima alcuni dirigenti del Pd alzarono il sopracciglio, per questa cosa che Bersani, incontrandoli alla Conferenza dei progressisti di Madrid, aveva incontrato e invitato personalmente i due leader della sinistra di Francia e Germania, i due paesi in quel momento bestie nere del Cavaliere. Eh sì, aveva osato invitare due socialisti, il segretario del Pd. Il che venne ritenuto disdicevole e lesivo del pluralismo e degli equilibri interni del partito, mannaggia.
La grana arrivò a strettissimo giro sul tavolo di Lapo Pistelli, responsabile esteri del partito, che in poche ore fu prodigiosamente in grado di esibire un invito accettato al vicepresidente della Dc cilena, Jorge Burgos, che fu sul palco anche lui con noi quel giorno a prendere applausi in nome delle future vittorie dei progressisti. Il che intendiamoci rese più bella e ricca la manifestazione.
Senza camicia bianca, però. Perché lo scrivo? Perché sono belle le foto di ieri, perché camicia bianca la trionferà. Ma quel minimo di memoria che non ci porti ad attribuire a chi la indossa anche l’invenzione delle asole, è bene che sopravviva.

Quello che non ho
è una camicia bianca
quello che non ho
è quel che non mi manca
quello che non ho
sono le tue parole
per guadagnarmi il cielo
per conquistarmi il sole
(Fabrizio De André)

Le riforme impopolari

Non sono mica tanto d’accordo con chi chiede al presidente del consiglio di avere il coraggio di fare “riforme impopolari”. Anche perché sospetto che sia un consiglio interessato: Matteo, ora che gli italiani ti hanno dato il consenso, usalo per fare quello che vogliamo noi. E invece no, il consenso è una cosa seria e l’obiettivo di un governo non può essere l’impopolarità. Così come non credo che esistano ricette di governo “giuste” in astratto e impedite da quel fastidioso ostacolo che sarebbe rappresentato dalla democrazia. E però.
Però penso anche un’altra cosa: non si può neanche governare, in tempi difficili soprattutto, facendo credere all’opinione pubblica che sarà sempre qualcun altro a dover fare sacrifici. Per questo, soprattutto nel tempo in cui il #passodopopasso sostituisce l’#adesso e il #cambiaverso, mi suona sempre più stonata la predicazione renziana contro “la palude” e “i gufi”, l’insistere sul “mandare a casa” e “far pagare” chissà chi come soluzione a ogni problema. Non solo perché divide e incattivisce un paese già abbastanza incarognito di suo, e questo non può essere mai un bene, soprattutto per chi governa. Ma perché o un politico riesce a convincere chi lo ha votato (e magari anche chi non lo ha votato) della necessità di uno sforzo corale, e anche di qualche sacrificio, in nome di un obiettivo comune, oppure sarà molto difficile che quel politico raggiunga il suo scopo. A Renzi serve una narrazione più adeguata alla nuova fase, o si fa del male da solo. Mi rendo conto che forse sto chiedendo a Renzi di non essere Renzi, ma in questo caso il problema sarebbe suo, nel momento in cui decide di darsi il passo del maratoneta: o ha il fiato, o non ce l’ha.
Con più tempo per organizzarsi, i “gufi” alla fine possono risultare anche più simpatici degli allegri gelatai. Anzi, mi sembrano già in ascesa.
Su questo (anche) c’è un bell’articolo di Nadia Urbinati oggi su Repubblica.

Per Federica Mogherini, contro il gnegnegne

Da ieri sera ricevo tweet e messaggi (per lo più di sconosciuti) il cui contenuto, al netto degli insulti, è riassumibile in “Mogherini è lady Pesc, gnegnegne, alla faccia tua, perepè, e mo’ che dici?”.
Dico che io sono contenta per Federica Mogherini, che conosco da anni e che so competente e preparata per il compito che avrà. Non ho mai scritto una parola contro Federica, e non ho nemmeno mai detto che il governo non ce l’avrebbe fatta a farla nominare. Non mi è piaciuto quasi niente del modo in cui l’obiettivo è stato raggiunto: non mi è piaciuto come è stato liquidato uno scenario diverso, che era possibile, e che poteva portare a un incarico altrettanto importante (anzi, più importante) per Enrico Letta. Non mi è piaciuto che si sia rinunciato da subito a un ruolo italiano negli incarichi economici. Non mi è piaciuto infine come è stato brandito il nome stesso di Federica, a rischio di esporla a umiliazioni che non avrebbe meritato e di indebolire il suo stesso futuro mandato. Ma la scelta del governo alla fine è stata questa, e nessuna di queste premesse implica che io non debba essere contenta che si sia arrivati allo scopo. (Per un giudizio complessivo sui nuovi equilibri dell’Ue poi ci sarà tempo, mancano ancora troppi tasselli). Continua a leggere

Le secchiate in testa e il limite della politica

Dico due cose su questo fatto delle secchiate d’acqua. Una bella discussione sui social network ieri mi ha fatto capire meglio cosa penso io su quel gesto di Renzi, forse un piccolo riassunto può essere istruttivo.
Dicono dunque i difensori, a me, che non apprezzavo: è stato efficace, mica come un burocratico comunicato stampa. Dicono ha comunicato bene, è trending su twitter. Ok, ma ha comunicato cosa? Dicono: i vip e le star che partecipano con efficacia alle campagne virali sensibilizzano la gente. Ok, ma Renzi non è un vip o una star. E ho anche qualche dubbio che il fatto che tutti parlino di Renzi che si è tirato una secchiata d’acqua in testa significhi automaticamente che tutti sono più sensibili ai problemi dei malati di sla. Se poi vogliamo dire che comunque tutti parlano di Renzi, allora va bene, bravo. Se era questo lo scopo, però, non tiratemi in ballo la terribile malattia e non cazziatemi di insensibilità se dico che a me non piace. Almeno. Perché sennò io potrei essere tentata di rispondere che chi strumentalizza i malati di sla per far parlare di sé è più insensibile di me, e non vorrei farlo. Ma c’è dell’altro. Continua a leggere

Diamanti e il renzismo preterintenzionale di Repubblica

Bello il pezzo di Ilvo Diamanti oggi. È vero, non ha senso accusare Renzi di autoritarismo o di attentato alla Costituzione. La personalizzazione della politica è un processo globale, ormai la politica è così, ha cominciato Craxi, figuriamoci.
E vabbè. Poteva almeno aggiungere “tant’è vero che pure noi a Repubblica ormai ci siamo stufati di contrastare questa roba, che quando c’era Berlusconi ci saremmo incatenati a largo Fochetti per molto meno, per non dire di quando c’era Craxi, che ci saremmo incatenati a piazza Indipendenza”, ma si sa lo spazio è tiranno (e comunque giustamente Diamanti evita, di nominare l’Innominabile).
Poteva aggiungere “c’è stato in questi anni chi in effetti ha cercato di contrastare questa deriva, di restituire a questa democrazia per caso uno sviluppo coerente con le premesse della Costituzione, ed è stato uno sforzo titanico, ma in pochi gliel’hanno riconosciuto e l’hanno sostenuto, perché in fondo un po’ di innamoramento direttista, innestato su quel fondo di antipartito, ce l’abbiamo sempre avuto anche noi di Repubblica, altroché se ce l’abbiamo avuto”, ma vabbè, che pretendiamo.
Niente, ha vinto Renzi e Repubblica è contenta. Senza avere inventato nulla, che gli inventori son stati altri. Senza avere un’idea di come dare “senso al caos”, che il caos gli va benissimo così, e il suo PdR nel caos ci si trova da dio.
Magari non diciamo che è così in tutto il resto d’Europa almeno, professore. Nel resto d’Europa non ci sono i partiti personali, ma partiti che sopravvivono ai loro leader, anche ai più forti, e meccanismi per sostituire i leader. Nessuno elegge il premier né pensa lontanamente di farlo. Nessun partito si chiama Pdr, la Cdu non si chiama CdMerkel, e così via.