Telefonami tra vent’anni

Vi voglio raccontare di Simone, che all’epoca era detto Simone Piccione, e non sto a spiegarvi perché. Eravamo giovani, si andava tutti insieme a mangiare la pizza il sabato sera e poi in giro in macchina la domenica. A primavera loro giocavano a pallone in piazzetta una sera alla settimana (che poi non era una piazzetta, ma il cortile della parrocchia), e noi ragazze intanto si chiacchierava sedute sul muretto. Si facevano lunghe chiacchierate, all’epoca. Non c’era twitter, né i messaggini. E avevamo vent’anni, e a vent’anni è tutto ancora intero, ci sono un sacco di cose di cui discutere. E Simone Piccione aveva un modo di chiudere i discorsi, di commentare le cose, di consolarti se eri triste, lui diceva così: l’importante è non arrivarci in fila.
Ora, ieri sera è squillato il cellulare. Ho guardato ed è apparsa la scritta: “Piccione”. Erano loro, tutti insieme. Da qualche anno infatti, con le mogli, i mariti, i bambini, ci si incontra una sera, passato Natale, per la cena di finto capodanno. È una tradizione inventata ultimamente per rivedersi un po’, dato che poi la sera del 31 ognuno ha naturalmente i cavoli suoi. Quest’anno, causa primarie, io però ero già rientrata a Roma. Piccione si è limitato a urlarmi nelle orecchie (erano le nove, ma io lo so che quando fanno ste cene dopo mezz’ora sono già mezzi sbronzi). Poi m’ha passato quasi tutti, in una decina mi hanno detto almeno ciao, mi hanno descritto quanto gli altri stanno invecchiando male, e si sono lamentati del casino che facevano gli altri mentre parlavamo. A qualcuno ho detto che ero appena tornata dall’ufficio, e che mi preparavo per andare a Omnibus notte, e loro mi hanno detto: ti guardiamo. Così all’una di notte, quando ho riacceso il telefono, c’erano due messaggini bellissimi, di Piccione e della Cri, che mi dicevano che erano fieri di me e che mi vogliono bene. I miei amici. Che non immaginano neanche quanto io sia fiera di loro. Che fanno una cosa balorda come chiudere una cena di Capodanno, per quanto finto, guardando Omnibus per guardare me. Bè, ero così felice, stanotte, sul taxi.
Perché poi il tempo passa, succedono cose, va tutto diversamente da come ci si immagina a vent’anni. Si cambiano fidanzati, vite, città. Si cambia taglia dei vestiti, priorità, colore dei capelli. Capitano volte che non ci si capisce, anche. O che ci si dimentica di pensarsi. E però. Alle porte dell’universo un telefono suona ogni sera, e poi è proprio vero: l’importante è non arrivarci in fila. Impara il numero a memoria, poi riscrivilo sulla pelle Piccio. E grazie (anche a Lucio). Buon 2013.

5 Responses to Telefonami tra vent’anni

  1. Fabrizio Scarpino

    E la vera amicizia è il balsamo migliore della vita:

    È come olio prezioso versato sul capo,
    che scende sulla barba, la barba di Aronne,
    che scende sull’orlo della sua veste.
    (Sal.133)

    Auguri, buon 2013.

    f.s.

  2. che dire. grazie.
    primo perchè provo un po di sano imbarazzo a pensare che altri leggano di me in”quel modo”
    secondo perchè il sottile filo della vita si rinforza ogni anno a quell’appuntamento strambo
    terzo non ci sono persone ma amici anche dopo 30 lunghi anni.
    buon anno

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