Per me, a differenza dal “renzianissimo” senatore citato oggi da Repubblica (e in parte perfino da Enrico Letta), non è una questione di costi. I soldi per la partecipazione democratica, anche quelli per allargarla, sono sempre ben spesi. So di essere impopolare ma io sono favorevole ai costi della politica, e anche al finanziamento pubblico, che è l’unica possibilità di garantire a tutti l’esercizio dei diritti e dei doveri democratici: una questione sulla quale prima o poi la realtà ci costringerà a tornare a riflettere, speriamo non troppo tardi.
Il punto è un altro: se si temeva, giustamente, l’astensione, perché il governo ha fissato le elezioni amministrative il 5 giugno, cioè durante il ponte del 2 giugno (e i ballottaggi il 19, a scuole chiuse)? Non potevamo votare a maggio, o anche ad aprile? Perché, soprattutto, nessuno lo spiega?
C’è poi un’altra questione, direi etica. Si può prendere il potere contrastando e bollando come “spreco” qualsiasi costo legato all’esercizio della democrazia (nell’intervista di oggi a Pietro Senaldi su Libero, il renziano della primissima ora Matteo Richetti, oggi un po’ meno renziano, racconta così il suo colpo di fulmine con Renzi: “Sembra una vita fa ma tutto è iniziato solo il 7 gennaio 2011 a Reggio Emilia, alla Festa del Tricolore. Renzi era sindaco di Firenze, si avvicina e mi dice: ‘Fai una figata, abolisci i vitalizi’. E io: ‘Già fatto!’. Il sogno di cambiare l’Italia è iniziato così”), si può bollare l’astensionismo come “fatto secondario” quando ti fa vincere con meno del 40 per cento dei partecipanti (alle regionali in Emilia Romagna), si può impostare la campagna sul referendum sull’argomento del “meno poltrone”, si può vincere un referendum abrogativo investendo sull’astensione e dicendo #ciaone a chi è andato a votare, e poi improvvisamente scoprire il dramma del fatto che la gente non va più a votare, magari per creare il precedente perfetto per pompare un po’ la partecipazione in vista del plebiscito di ottobre? Come si spiega tutto questo agli elettori?
Ecco il problema non è che il decreto che il governo dovrebbe varare oggi fa spendere dei soldi. Il problema è che non è storytellabile. Tutto sta a vedere se il governo se ne accorge prima di fare questo errore (come ipotizza Marco Conti sul Messaggero, che dà per probabile che non se ne faccia nulla, ma ormai mezza figuraccia sarebbe fatta), o se dovrà accorgersene dopo.